Magari qualcuno di voi potrebbe trovarsi a disagio per via di quello scrivo, ma non è questo il punto, ormai se ne sono sentite di cotte e di crude in merito a qualunque cosa, tanto vale continuare a rimescolare le solite storie e chi si è visto si è visto, non so se mi spiego, cioè io non sono un giornalista, o uno scrittore, tanto meno un politico o un attivista, l’unica cosa che so è che fino a quando vivrò lo farò pensando che niente va lasciato al caso e non bisogna mai restare indifferenti rispetto a nulla, perché molta gente resta indifferente quando sente parlare di questo o di quello e se ne va dritto a sedersi sul divano ad angolo che sta ancora pagando a rate ad una società multinazionale che magari quel divano avrebbe potuto non produrlo o nel caso avrebbe potuto venderlo a metà prezzo, o magari concederlo in comodato, sempre che esista un genere di commercializzazione di beni mobili che prevedono il comodato, forse la parola più giusta sarebbe noleggio, ma queste cose le lascio dire agli esperti in arredi e attrezzature varie per la casa e l’industria, quello che più mi preme è far notare ai miei segugi, o per meglio dire, seguaci, che ci sono persone che proprio non riescono o non vogliono vivere fino in fondo la propria piccola e insignificante vita, sia ben chiaro però, io non ho un divano ad angolo, anche se lo avrei voluto, ma non è questo il punto. Ricordo che diversi anni fa conobbi una cara persona, all’epoca questa persona era ancora viva e la sua età apparente era di circa settanta o settantacinque anni, solo tempo dopo la sua dipartita seppi che aveva soltanto sessantatre anni e qualche giorno, cioè praticamente è morto una manciata di giorni successivi al compimento del suo sessantatreesimo compleanno, e non sto dicendo che non so valutare l’età di una persona guardandola in faccia o studiandone i movimenti e i comportamenti, sto solo dicendo che questa persona si era proprio buttata via, letteralmente consumata da una vita di fatiche e dalla totale mancanza di stimoli ed entusiasmo o interesse per qualsiasi cosa, anche la più semplice e banale possibile. Questa brava persona ha lavorato fin da quando aveva poco più di quattrodici anni, e non sto dicendo che è stato magicamente assunto da un fantomatico gruppo aziendale per svolgere delle comode e confortevoli pratiche di ufficio, ma si è proprio spezzato la schiena trasportando pesi dal punto A al punto B, distrutto le mani lavorando prodotti ad alto rischio batteriologico e bruciato la faccia esponendola per ore alla luce solare e questo per cosa? Solo per raggranellare qualche spicciolo che gli ha consentito di sbarcare il lunario per quasi cinquant’anni della sua misera esistenza costellata di fatiche e privazioni. Non credo di aver mai conosciuto una persona più ingenua e contemporaneamente più pura di Luis, un uomo a trecentosessanta gradi, un essere umano sfruttato e gettato via come se fosse un ingombro inutile da rimuovere, facilmente sostituibile e dimenticabile, lui che ha lavorato per i porci comodi di impresari senza scrupoli, alzandosi alle sei del mattino ogni giorno e lavorando per otto, nove e a volte anche dieci ore filate, senza protestare mai e senza mai far presente di essere sfruttato e trattato a pesci in faccia, lui lavorava, faceva il suo sacrosanto dovere e poi qualcuno si ricordava che non viveva mica d’aria e gli donava un salario inadeguato, al limite del ridicolo, con il quale riusciva a malapena a pagarsi l’affitto, le utenze minime e mangiare. Questa cosa è andata avanti per quasi cinquanta lunghissimi anni dove Luis non ha mai studiato astronomia o giocato a calcio, non ha mai letto un libro o fatto l’amore con una prostituta, perché lui non amava la vita, per lui la vita era, è stata, una lunga e atroce punizione, chissà per cosa poi, questa punizione, perché Luis lo vedevi seduto all’ingresso del suo bar preferito, in silenzio, da solo, ma soltanto il sabato e la domenica, quando tutti gli altri si divertivano a giocare a freccette e scommettere ai cavalli, lui se ne stava in silenzio e solo, con la sua birra e il pacchetto di sigarette a buon mercato, parlava quando qualcuno attaccava discorso con lui, magari per noia o forse per l’alterazione provocata da alcol, e i dialoghi con Luis erano sempre molto brevi, circostanziati e per la maggior parte delle volte inutili e ripetitivi, anche perché a lui non interessavano le persone, a lui piaceva aspettare che i giorni passassero uno dopo l’altro insieme alle settimane, ai mesi e alle stagioni, in modo ripetitivo e anonimo, nell’ambito di un mondo in bianco e nero, privo di sfumature, ombre o luci. L’ultima volta che ho visto Luis è stato in una desolante e fredda stanza di ospedale, fredda nonostante l’estate e le temperature piuttosto elevate di luglio, era da solo, come al solito, e pesava a occhio una trentina di chili, completamente mangiato dal progressivo e violento incedere di quella malattia che non perdona, e lui non era triste, era semplicemente stanco di aspettare quella morte salvifica che lo avrebbe finalmente liberato da un’esistenza triste e monotona, da una vita che ha sempre detestato e atteso che si portasse a termine il più presto possibile, ma si sa, più vorresti che le cose si risolvano quanto prima, più queste vanno avanti in un modo lento e subdolo, una persona che ha sempre avuto un fisico piuttosto imponente la vedevo ridotta a un piccolo scheletro in un letto di ospedale, circondato dal nulla assoluto, si perché Luis non aveva figli, non ha mai avuto una moglie e a quanto ne sapeva lui, neanche amici. Ha trascorso l’ultimo mese in ospedale senza mangiare niente, ha sopportato la fame e la sete, si è lasciato morire, si è spento senza avere neanche il conforto di una persona a lui cara, perché Luis non aveva mai avuto persone care, magari lo è stata sua madre fino a quando non è morta, ma poi è sempre stato da solo, ogni giorno alle sei del mattino scendeva giù dal letto, si lavava, si preparava, e dopo una frugale colazione, a volte gli bastava soltanto una tazzina di caffè solubile, si recava nella fabbrica in cui svolgeva le sue mansioni, dove è sempre stato l’ultimo degli operai, forse non era granché intelligente ma lavorava duro e con grande costanza, nell’arco della sua vita lavorativa sarà mancato in tutto un paio di volte, per il resto timbrava ogni giorno la sua presenza e a fine mese gli passavano i soldi in nero, perché non lo avevano mica assunto, non aveva i requisiti, a quattordici anni ok, gli avevo detto io due anni prima che morisse, ma poi avrebbero dovuto farti un cazzo di contratto, e lui mi rispondeva che non avrei dovuto dire le parolacce, e riprendeva a stare in silenzio di sabato, o di domenica, a bere un paio di bicchieri in solitudine nel suo bar preferito, forse in attesa che finisse tutto improvvisamente o forse, in cuor suo, con la speranza che qualcosa cambiasse, magari già da dentro i suoi pensieri, dentro le sue azioni, ma le cose sono andate avanti sempre allo stesso identico modo, giorno dopo giorno, fino a quando non si è sentito male e dalla fabbrica lo hanno accompagnato velocemente a casa per chiamare un’ambulanza, e certo mica potevano martellarsi i coglioni facendo arrivare i soccorsi in fabbrica, così il medico di turno gli aveva dato appuntamento per tal giorno e ordinato alcune analisi del sangue. Da quel momento in poi per Luis è stato come andare incontro alla tanto agognata e insperata liberazione, ma a differenza di come li aveva immaginati, gli ultimi due sono stati gli anni più tremendi e terrificanti della sua vita.
L’arrivo della fine
